Vai al contenuto
I biologi considerano gli umani come una specie eccezionale e anomala: essi agiscono e svolgono attività come nessun altro animale. Il linguaggio, la matematica, il fare arte e la trascrizione della storia sono solo alcuni esempi. Con l’aumento delle conoscenze sulle radici biologiche della specie umana, un numero sempre crescente di accademici, d’arte e delle scienze umane, ha cominciato a chiedersi cosa queste significassero per la visione tradizionale dell’umano come persona. In questo articolo, seguirò un determinato filone di ragionamento per esaminare l’impatto di una nuova ricerca in neuroscienze cognitive sulla nostra conoscenza dell’arte visiva. In particolare, analizzerò il nascente campo della neuroestetica, cercando di capire se questo nuovo approccio possa essere in qualche modo rilevante per l’attività degli storici dell’arte, e anche come potrà evolvere in futuro. Un importante scopo di questo articolo è offrire alla comunità degli storici e critici d’arte recenti ricerche e sviluppi concettuali che appartengono alle neuroscienze cognitive, per far sì che possano usufruire della promettente letteratura in questo ambito.
A seguire, esaminerò gli elementi eventualmente necessari per stabilire una continuità tra le nostre attività biologiche radicate come animali umani e la visione che noi stessi abbiamo di soggetti liberi e capaci di sviluppare giudizi estetici. Verranno affrontate questioni riguardanti la visione umana, in comparazione al contenuto visivo dell’arte e alla natura dei giudizi estetici degli esperti, e alla sua relazione con l’esperienza. Infine, verrà proposto che gli sviluppi più vantaggiosi ed interessanti potrebbero nascere da collaborazioni multidisciplinari tra gruppi di esperti (sia scienziati che storici dell’arte/critici teorici) che, lavorando insieme su argomenti specifici, potrebbero raggiungere risultati fondamentali per la crescita di ciascuna disciplina coinvolta.